Cile

Isla Negra es un Sueño

Testo di Giuseppe Pompili

"y desde entonces soy porque tú eres,
y desde entonces eres, soy y somos,
y por amor seré, seras, seremos."
(Pablo Neruda, "Cien sonetos de amor", LXIX)

L'Avenida Bernardo O'Higgins attraversa Santiago del Cile da est a ovest, prima di confluire nell'autopista 68, l'autostrada del mare. Accanto al grigio palazzo della Moneda, le quattro corsie per senso di marcia circoscrivono prati alberati e aiuole fiorite, in mezzo ad un nastro di traffico ininterrotto e insuperabile. Il flusso di veicoli si dirada unicamente dopo l'orario di chiusura degli uffici, per svanire del tutto durante le ore notturne, fino all'alba. Al sorgere del sole il lunghissimo viale si illumina di delicate tinte pastello, mentre i colori aumentano d'intensità inondando con riflessi di fiamma le anonime facciate dei grattacieli del centro.

Per i cittadini di Santiago, Bernardo O'Higgins significa, ancor più che il nome del Libertador del Cile, la porta d'accesso al mare, l'inizio delle sospirate ferie estive, la strada verso i picnic sulla spiaggia. E' la Roma-Ostia del Cile, fatte le debite proporzioni. Durante i fine settimana d'estate i vacanzieri abbandonano la calura metropolitana per concedersi un po' di relax sulle affollate spiagge di Viña del Mar e di Renaca, di Cartagena e Isla Negra.

La baia di Valparaiso è un succedersi ininterrotto di costruzioni, è la Riviera Romagnola del Pacifico. Un'edilizia selvaggia e sregolata, che ricorda lo scempio consumato sulle coste italiane durante gli anni sessanta e settanta, ha steso una coltre di cemento che si arrampica con indomita arroganza fin sui ripidi pendii di friabile arena rossa. Dal disastro non si salva neppure il litorale a sud della baia. Ovunque spuntano cantieri che partoriscono torri di cemento armato dall'architettura stravagante, enormi condomini nati per la gioia dei nuovi ricchi, a coronamento del sogno di un'esclusiva dimora balneare, la cui pretenziosità è pari solo al kitsch. Isla Negra si trova in una località più decentrata rispetto alle regole di questo desolante conformismo architettonico. Non è il nome di un'isola, ma quello di una piccola frazione rivierasca, in cui Pablo Neruda scelse di stabilire la propria residenza estiva. Mezzo secolo fa il sito doveva essere un luogo isolato, una tranquilla oasi di pace situata in un tratto deserto di costa. Oggi sorgono numerose villette, già minacciate dalla silhouette di alti condomini che spuntano oltre i bassi scogli del  promontorio.

La casa balneare di Pablo Neruda non è una costruzione appariscente. Non si distingue facilmente dalle altre ville che si affacciano sul mare, tant'è che per trovarla occorre domandarne l'ubicazione. Non ci sono insegne o cartelli stradali che ne indichino la presenza. I cileni non ne hanno bisogno, sanno già dov'è. Durante i fine settimana estivi l'affluenza di coloro che rendono omaggio all'esule, al poeta, al premio Nobel, rende necessari turni e lunghe code per accedere al piccolo museo. A ventisette anni dalla scomparsa, la memoria di Pablo Neruda resta vivissima tra i compatrioti. L'abitazione è un luogo sereno, custode della memoria, pervaso della nostalgia del ricordo. E' quanto di più tangibile resta della vita di un uomo, il resto essendo solo sogni e parole. Un luogo saldamente ancorato alla terra ma permeato dal brusio del mare.

Un basso steccato difende il giardino più dall'assalto dei visitatori che da quello dei teppisti. All'interno, una vecchia locomotiva a vapore fa bella mostra di sé davanti al patio. La motrice di metallo, verniciata a tinte accese, è di piccole dimensioni, simile al toy train che ancor oggi si arrampica da Siliguri a Darjeeling lungo la ripida ferrovia a scartamento ridotto. Sul retro della casa crescono enormi agavi, sotto le cui alte infiorescenze giace un'enorme àncora rosa dalla ruggine e dipinta di nero. Proveniva da un veliero in disarmo, giunto nel porto di Callao, a Lima, per il suo ultimo viaggio. Una targa spiega le vicissitudini occorse al notevole cimelio prima di arrivare a Isla Negra, l'estremo approdo. Perché un'ancora? Forse perché la casa stessa ricorda la tolda di una nave alla fonda, con la prua rivolta verso l'oceano e le radici ben piantate sulle rocce della riva. E' una dimora lunga e stretta, ad un piano, che si affaccia sull'oceano da una bassa scogliera, idealmente unita alle acque dalle ampie vetrate. L'interno è organizzato in modo lineare. Questo insolito modo di collegare gli spazi nasce dall'innata propensione delle persone per i percorsi diretti. E' quello che il grande architetto contemporaneo Bill Hillier, da molti considerato un eretico, chiama la "sintassi dello spazio". Neruda aveva progettato la sua dimora con questa consapevolezza in modo intuitivo, come si fa quando impieghiamo le regole grammaticali. L'interno è suddiviso in compartimenti a cui si accede in un'unica direzione, da una stanza all'altra. Non ci sono saloni, tutto è piccolo, raccolto, intimo. Dopo la morte del poeta la casa è stata adibita a museo, una raccolta di schegge, di frammenti raccolti nel corso di un'intera esistenza, cimeli che narrano una geografia inquieta, un gusto per il collezionismo di manufatti inusuali, fuori dall'ordinario, indice e riflesso di una grande anima. La casa è costruita con materiali semplici, legno e pietra, separati da grandi finestre rettangolari che si affacciano sul Pacifico. L'acustica della camera da letto, unica stanza della casa situata al primo piano, assieme alla biblioteca, è studiata per lasciarsi cullare dal mormorio della risacca delle onde oceaniche che s'infrangono contro le rocce più in basso. Lo studio amplifica il tamburellare di gocce di pioggia che il tetto della casa ascolta cadere nella notte. E' un luogo armonico, ricco del fascino della semplicità. Sopra i tavoli poggiano splendide vetrerie, piatti, calici, bizzarri orci celesti e smeraldo, velieri in bottiglia di ogni forma e dimensione.  Le pareti del corridoio che porta allo studio sono tappezzate  da stampe antiche, da carte geografiche di Mercatore, tra paramenti sioux, maschere africane, sculture dell'Isola di Pasqua. Oltre ad una quantità di doni esotici fatti dagli amici sparsi per il mondo. Un'enorme cannocchiale newtoniano, un autentico mappamondo del '700, che troneggia accanto al camino rivestito di lapislazzuli, dono di un'amica artista, il bagno erotico con le pareti rivestite da miniature licenziose. Una sterminata collezione di conchiglie provenienti da  tutti i mari tra cui spicca un'enorme tridacna del Pacifico, simile ad un'acquasantiera, accanto ad un dente di narvalo lungo tre metri. Nello studio, tra un patrimonio di migliaia di volumi donati all'università di Santiago, spiccano le fotografie incorniciate di Boudelaire, Majakovsky e Garcia Lorca. Nel soggiorno volteggiano sospese al soffitto o appese alle pareti numerose polene di navi, di cui una appartenuta alla nave di Francis Drake. Le altre, ci spiegano, assomigliano alle fattezze dalle numerose amanti del poeta. Certamente un modo originale di omaggiare la donna amata. Neruda amava le donne, artiste, attrici, intellettuali. Né poteva essere diversamente, considerando che l'amore era la principale musa ispiratrice della sua poesia. Noi non facciamo altro che cambiare schiavitù: collezionare oggetti diventa l'estremo legame con la donna amata non più presente.

E ora, tenuta in serbo per la fine, l'ultima immagine. Una lapide di marmo nero, posta nel giardino di fronte all'oceano, ove si leggono, incisi in morbidi caratteri corsivi, i nomi di Matilde Urrutia e Pablo Neruda. Per il poeta l'amore non finisce con le singole scomparse, perché la sua sostanza continua nel mondo, rappresentata come un lungo fiume, immutabile ed eterno. Tra le miriadi di cose che sono e sono state, queste due persone sono state, e sono. Residui minerali sospinti dal fiume dell'Amore su una spiaggia solitaria dell'Oceano.

Gennaio 2000

Bibliografia

  1. Pablo Neruda, "Cien sonetos de amor", Adelphi