Nepal

Montagne prêt-à-porter

 

Bus ad Arughat

 

Testo e foto di Giuseppe Pompili

 

Bambina a Jagat
Bambina a Jagat

Può da un male nascere un bene? A volte accade, o almeno così sta avvenendo con la strada che unisce da un paio d'anni Lo Manthang con Jomsom. I piedi non sono più indispensabili per raggiungere l'alto Mustang. Un paio di cambi in jeep o un cavallo risparmiano al viandante 85 km di vento e di strade polverose, lasciando più tempo per le cose importantanti, per gl'incontri, per visitare gli angoli remoti dell'ex regno tibetano. Vista con orrore dai puristi del trek e con favore da chi in Mustang ci vive, la strada accorcia le distanza e rende accessibile ciò che prima non lo era. Rimpicciolisce il Paese, ma ne facilita imparzialmente l'accesso. Riservato non più solamente ai trekker duri e puri ma anche agli insegnanti, ai costruttori di scuole e alle merci. Il Nepal cambia e il Mustang con esso. A ritmo accelerato, quasi a compensare i lunghi decenni di stasi della monarchia. Ora i monasteri rifioriscono, irrigati dai danari indiani e delle fondazioni americane. E nascono anche le prime scuole secondarie pubbliche, finanziate al 50% dalla Cina e dal Nepal, della cui coalizione di governo i maoisti fanno parte. E il Great Game continua, per fortuna su basi pacifiche, ma con la non trascurabile differenza che, mentre l'istruzione statale è paritaria su base di genere, quella religiosa è sessista. Il Mustang sta cambiando perché il Nepal sta cambiando, non necessariamente in meglio...Tutte le epoche sono mutevoli, ma la nostra è un'epoca di massiccia trasformazione morale e materiale. Gli archetipi diventano gravami e il semplice si complica, il caos acquista eleganza e si scopre che quello che tutti ritengono vero è invece quello che pensano alcuni. Così la gente benestante si rivolge alla montagna in cerca di evasione, in cerca di stabilità, e le fabbriche del capitalismo forniscono tutto quanto, dall'attrezzatura in carbonio al meteo via smartphone. La montagna diventa merce, un'industria. E la giovane generazione di sherpa si adegua, pensando per lo più a far soldi in fretta. Chiedono denaro, molto, in cambio di quello che i nuovi turisti d'alta quota non osano, non vogliono e non sanno fare: trovare la via, battere la traccia, sistemare le corde fisse, montare i campi alti. La montagna mercificata non vuole correre rischi, non inventa nulla ma copia e banalizza. Chi non si adegua è guardato con antipatia - nel migliore dei casi - dalle stesse guide, che stentano a concepire come ci sia qualcuno che desidera salire per conto proprio, senza balie, per provare il brivido della scoperta. Chi si presenta in un campo base senza (almeno) una guida sherpa è considerato alla stregua di un concorrente sleale, di uno che non rispetta le nuove regole del gioco. «Come osano, questi stranieri, salire da soli le nostre montagne?».

Cascata a Dharamshala, nei pressi di Meta
Cascata a Dharamshala

Senza l'aiuto di nessuno tranne che il permesso di salita pagato alla lontana burocrazia di Kathmandu? Un'ascensione in autonomia partendo dai campi base maggiormente frequentati è oggi vista come un esproprio delle prerogative dei portatori d'alta quota, quasi un furto, e chi non gode di un "protettore" locale, di un'interfaccia tra sé e la comunità degli sherpa, resta indifeso, esposto a propria volta ai furti quando non alle minacce fisiche dirette. La mutazione del ruolo dell'alpinista straniero in Nepal vale non solo per le grandi vette - per gli 8000, per l'Everest - ma anche per le cime minori, giù giù nella catena alimentare sino ai trekking peak. La domanda di servizi tutto compreso, in forte crescita, ha mutato l'etica. La scelta sul come praticare l'alpinismo è passata in secondo piano davanti al guadagno, o almeno così è per una vasta maggioranza di guide locali. L'amore per la montagna, il gusto per la sfida c'entrano poco: sono solo affari. Gli artefici del cambiamento siamo però noi. I ricchi, almeno in senso relativo. Ma il quattrino ha le sue leggi e non bisogna dimenticare che non è per generosità che si offre a un portatore d'alta quota un compenso pari a oltre dieci volte il salario medio mensile di un portatore di trekking, in cambio di qualche settimana di lavoro. Quello che si sta davvero facendo è comprarne la vita, perché il mestiere dello sherpa, oltre che duro, è assai pericoloso. Pochi clienti si preoccupano di quanti sherpa muoiano ogni stagione per soddisfare le loro ambizioni. Quando va bene, si attribuiscono gli incidenti al caso, alla fatalità, ai pericoli dell'ambiente. Non molti sono disposti ad ammettere le proprie responsabilità, vale a dire il fatto di aver pagato al fine di mandar innanzi qualcun altro a rischiare la vita, montando tende e fissando corde. Esponendosi per primo alle valanghe. Addomesticando non di poco la salita. I più si dimenticano completamente di riconoscere il sostanziale contributo degli sherpa alle salite. Sono i carnefici del "guadagno, pago, pretendo", figli ipocriti di Mammona, che amano il brivido dell'alta quota ma preferiscono sia qualcun altro a sobbarcarsene i maggiori oneri. Assurdo affermare che la vita non ha prezzo quando bastano poche migliaia di dollari per comprarsene una. E chi è consapevole dei pericoli e ciononostante sceglie di mettersi all'asta sul "libero" mercato non ha forse il diritto di chiedere maggiori garanzie, di pretendere almeno una monetizzazione del rischio? Se non per sé almeno per la propria famiglia. Da qui agli episodi di minacce e scioperi il passo è breve. Senza distinguere tra le varie tipologie di alpinisti, purtroppo. Così all'Himlung questo autunno, così al Kangchenjunga e all'Everest la scorsa estate, e così via, ad libitum. In vasta parte dell'Himalaya nepalese si vive oggi un alpinismo assai diverso rispetto a quello di una generazione fa, per non parlare dei pionieri di "appena" mezzo secolo fa. La magia, il fascino esercitato dai colossi Himalayani sul grande pubblico cambia con l'età e a seconda dell'epoca e delle mode ma lo Zeitgeist si può riassumere con una sola parola: business. Nonostante questo nuovo spirito del tempo, per me è stata una gioia tornare in Nepal e trovarlo ancora là: un Paese familiare dove il sorriso è di casa, eppure cambiato e in rapido mutamento. L'unica certezza è che le algide vette restano saldamente ancorate al loro posto, intatte, immacolate e indifferenti.

Novembre 2013

Bibliografia minima

  1. International Journal of Sustainable Development & World Ecology 13 (2006) 1-8.
  2. http://www.montagna.tv/cms/59641/leverest-e-gli-sherpa-e-giunto-il-tempo-della-resa-dei-conti
  3. http://www.explorersweb.com/everest_k2/news.php?url=everest-2014-facts_1398301635