Indonesia

Balicelebes

Diario di viaggio tra Bali e Celebes

Testo e foto di Giuseppe Pompili

L'Indonesia si estende per ben 45 gradi di longitudine e 16 di latitudine. E' un arcipelago vasto non solo in termini geografici, ma anche come insieme variegato di popoli, di culture e di religioni tra loro assai dissimili, che spaziano dall'induismo al cristianesimo, dall'islam all'animismo. Nonostante ciò, vi è un notevole senso di unità nazionale e i conflitti sono meno presenti che altrove, grazie forse all'estensione del paese, oppure per il modo in cui la Pancasila è diffusa tra la gente. Sono i cinque principi fondamentali dell'unità nazionale esposti per primo da Sukarno nel 1945 e consistono nella fede in un dio, nell'appartenenza all'umanità, nel nazionalismo, nel governo rappresentativo ed infine nella giustizia sociale. Da quanto si vede, pare che la convivenza e la tolleranza siano principi ben accetti da popoli con fedi così diverse, nonostante la cappa militaresca che inquadra la popolazione. La vita sembra scorrere in maniera naturale, senza troppi scossoni o sussulti visibili. L'Indonesia è un paese giovane, abitato da oltre 180 milioni di persone e in continua crescita. Nell'area estremo orientale è certamente uno dei paesi più avanzati sia dal lato economico sia per essere dotato di una parvenza di democrazia. A parte il petrolio l'economia è fondata sul turismo e sull'agricoltura, che si basa essenzialmente sulla coltivazione del riso (principale alimento nazionale), del caffè, del cacao e delle spezie in genere (cannella, noce moscata, chiodi di garofano), coltivate sin dal tempo della dominazione olandese in isole come le Molucche o Sulawesi.

Comprendere l'Indonesia visitando tre sole isole, sia pure importanti come Java, Sulawesi e Bali, le uniche che sono riuscito ad ammirare in questo viaggio, è come dire di capire gli Stati Uniti d'America visitando tre soli stati. Questi sono luoghi che devono essere visitati estensivamente, avendo molti mesi di tempo a disposizione. Navigare tra le isole della Sonda, e possibilmente ritornarci più di una volta, è forse il sistema più diretto per conoscere questo continente d'isole e d'acqua. Ho incontrato persone che viaggiavano a questo modo, l'unico che consenta d'apprezzare la vastità e la varietà dell'arcipelago, composto da oltre 13000 isole di cui almeno 6000 abitate.

Java

ll paesaggio di Java è fortemente antropizzato. Le strade non sono più solo delle vie di comunicazione tra città e paesi, ma sono diventate esse stesse degli abitati lineari, affiancate come sono da altre case senza soluzione di continuità con i centri urbani. Anche le zone interne sono segnate dalla presenza umana: le risaie appaiono ovunque nel paesaggio, inframmezzate alle tipiche palme da cocco.

Spesso, girando per le strade di Yogyakarta, o di Surakarta, si avverte la sensazione di essere in un paese moderno in senso occidentale, con auto giapponesi e antenne paraboliche sui tetti, che conserva però le architetture e quell'atmosfera indefinibile così tipica dell'oriente come noi lo immaginiamo. Ciò che identifica le città indonesiane in modo unico sono lo moschee, edifici non comuni nell'oriente estremo. Sovente piccole e poco appariscenti, basse e senza minareti, sono però sormontate da un'inconfondibile cupola argentata che testimonia la presenza dei fedeli in Allah ai bordi del Pacifico.

I rickshow sono il mezzo di trasporto urbano più diffuso, non solo per i turisti. Questi veicoli con due posti e tre ruote, spinti a pedali da guidatori smilzi per poche centinaia di rupie a viaggio si spostano in corsie preferenziali, hanno i loro posteggi riservati, e sono ovunque presenti ed in grado di portare a destinazione con tempi ed a costi competitivi rispetto ai taxi. Da notare l'assenza, almeno nelle piccole e medie città, di mezzi di trasporto pubblici. I taxi in genere sono diffusi, moderni, efficienti, e dotati di tassametro anche se abbastanza cari. In Indonesia bisogna trattare anticipatamente sul prezzo di tutto, anche di una corsa a pagamento.

Jakarta

Durante il viaggio aereo dall'Italia non abbiamo avuto modo di conoscerci perché il volo a Jakarta era diretto, con un solo scalo tecnico a Kuala-Lumpur. A Jakarta ci ha accolto un caldo opprimente, con una temperatura intorno ai 30° unita ad alta umidità. Le camere, piuttosto squallide, erano dotate di condizionatore che faceva un baccano d'inferno e presidiate da numerosi scarafaggi che scorazzavano alla base dei muri. Unica consolazione è stata una scarna cena a base di nasi-goreng e pollo con patatine il tutto innaffiato da birra Bintang o da Coca-Cola per gli astemi. In Indonesia sono molto diffuse due marche di birra, la San Miguel e la Bintang, entrambe assai care per gli standard locali e non molto buone secondo i nostri.

Yogyakarta

Il giorno dopo sveglia alle quattro del mattino e quindi tutti in aeroporto, per il volo verso Yogyakarta. Al mattino il gruppo si è diviso per visitare la città su dei rickshaw a pedali chiamati anche becak. Al pomeriggio ci siamo ritrovato davanti al Taman Sari o "Fragrante Giardino", meglio conosciuto come "Water Castle". Un tempo era un insieme di palazzi, piscine, giardini e giochi d'acqua per la gioia del sultano e dei suoi cortigiani. Il complesso risale al 1765, ma dopo guerre e terremoti giace ora in rovina, anche se ricorda dopo i restauri l'antico splendore. Dopo la visita, siamo andati tutti insieme a vedere una fabbrica di Batik non molto distante. Questi dipinti sono fatti su tessuti di cotone o di seta e i disegni vengono impressi a mano con pigmenti a caldo. Il procedimento viene ripetuto per ottenere più colori. Quelli per turisti (assimilabili a dipinti su tela) costano dai 100 ai 200$, ma quelli fatti da artisti locali che ho visto a Bali (da non confondere con quelli industriali fatti in fabbrica) costano parecchi milioni di rupie.

Borobudur

Mercoledì 12 agosto sono stato svegliato dal muezzin di una piccola moschea di fronte all'albergo, alle 5 del mattino (a Java l'80% della popolazione è di fede islamica, anche se non integralista). Noleggiato un minibus siamo partiti, diretti a Borobudur, il più grande tempio buddista del mondo, 40 Km. a Nord di Yogyakarta. Il tempio è vecchio di mille anni ed ha forma di piramide a terrazze avente base quadrata. Recentemente restaurato è fatto da grandi blocchi di pietra nera di origine vulcanica e da bassorilievi in pietra chiara posti ai fianchi delle terrazze. Nel pomeriggio abbiamo proseguito verso l'interno, visitando Java centrale e il parco naturale di Dieng Plateau, a oltre 2000 mt. s.l.m. ricco di sorgenti idrotermali e di geysers (quasi tutta l'Indonesia è di origine vulcanica). Il lago di Telaga Warna dai molteplici colori è una delle bellezze naturali della zona. Al ritorno a Yogyakarta, di sera, siamo andati al Ramayana Ballet per assistere al II atto del Purawisata (saga induista).

Surabaya

Surabaya, oltre ad essere la seconda città del paese per importanza ed il maggiore porto di Java, è cara persino per le ricche tasche occidentali. I servizi, gli alberghi ed i taxi qui si pagano salati. La zona centrale è fornitissima di centri commerciali, che si trovano accanto a grandi e moderni edifici come le filiali dell'onnipresente Lippo Bank, probabilmente una banca d'affari giapponese. E' stato qui che una sera sono andato fuori a cena assieme alla coppia di piccioncini (così infatti si chiamavano l'un l'altra; romano lui, bolognese lei). Dopo aver chiesto ad un paio di tassisti un buon ristorante, senz'altro esito che di farci scarrozzare in giro inutilmente, uno più sveglio degli altri ha avuto la presenza di spirito di chiedere informazioni via radio alla centrale e ci ha così portato in quello che credo sia uno dei migliori di Surabaya. La cosa ha richiesto un certo sforzo perché al di fuori delle località turistiche in Indonesia non sembra essere molto diffusa l'abitudine di cenare fuori casa la sera e persino i notoriamente ben informati tassisti non sanno qui dove portare l'avventuroso, o per meglio dire, incauto turista. Quella sera, forse perché era la vigilia della festa nazionale di Indipendenza, che qui si celebra il 15 agosto ed è molto sentita dalla gente, (o forse solo ben propagandata dal governo), non c'era nessuno ai tavoli nonostante l'ora, circa le 9 di sera. Il locale era spazioso e ben arredato, con orchestra e cantante solista. Essere serviti al tavolo da tre belle ragazze unicamente a nostra disposizione e pronte a soddisfare la nostra curiosità sulle specialità del menu nel loro inglese approssimativo ma sempre gentili e sorridenti, desiderose di conoscere qualcosa sul paese da cui venivamo e magari anche di un'avventura esotica con lo straniero; essere in un'atmosfera melodica con un discreto accompagnamento musicale, pagare un prezzo modesto per la cena (lingua di bue, spiedini di carne e quaglie arrosto) e infine il canto di un brano musicale da noi richiesto con dedica, ci ha fatto sentire durante quella cena veramente come principi d'altri tempi.

Surakarta

Il giorno seguente siamo partiti al mattino alla volta di Surakarta (o Solo). Lungo la strada abbiamo fatto sosta al tempio di Prambanan, dedicato a Shiva, il più grande monumento induista a Java. Il complesso è ora in restauro e giace per metà smontato in un caos di blocchi di pietra. La leggenda vuole che sia stato edificato in una sola notte da un gigante per superare una prova imposta dalla principessa Loro Jonggrang, "La Vergine Snella". L'impresa sovrumana era stata da lei richiesta per impedire il matrimonio. Sul far dell'alba, vistasi sconfitta, la principessa fece annunciare il nuovo giorno in anticipo. Il gigante beffato si vendicò allora tramutandola in una statua di pietra che si può ammirare ancor oggi nella camera del tempio rivolta a Nord.

Arrivati a Surakarta nel primo pomeriggio abbiamo preso alloggio all'hotel Putri Ayu. Solo non è una città turistica, e tranne che per il mercato delle antichità, alcuni grandi centri commerciali e quello dei Batik non c'è nulla di particolare da vedere. Interessante la serata in discoteca, unico locale aperto di notte, dove si ballava disco music in un ambiente non proprio raffinato ma frequentato dai giovani bene (e danarosi) del posto, quasi esclusivamente uomini. Sebbene per strada le ragazze spesso sorridano allo straniero che le guarda, nei rapporti tra i sessi è evidente che la rivoluzione femminista qui deve ancora passare. La mattina prima di ripartire sono stato al mercato, dove mi sono lasciato sedurre da un Kriss di dubbia antichità. In tarda mattinata ci siamo diretti alla volta di Blitar, città piccola e poco interessante, tappa verso il monte Bromo. Degni di nota a Blitar sono i negozietti di orologeria/oreficeria/bigiotteria. Il giorno seguente, lungo la strada per il parco nazionale del Bromo-Tengger-Semeru, abbiamo fatto sosta a circa 12 Km. da Blitar per visitare il complesso di Panataran. Questi monumenti induisti costruiti sotto la dinastia Singosari nel 1300 d.c. sono stati da poco restaurati, e sono situati in un'area tenuta come un giardino. Anche se non sono per niente eccezionali né per dimensioni né per importanza storica, il sito merita una breve sosta per la sua bellezza. Unico rilievo da fare riguarda i venditori di souvenirs, che con le loro bancarelle sono onnipresenti e particolarmente insistenti, tentando di piazzare al mister di turno bevande gelate, frutti, borse di pelle, batik o statuine in legno o in avorio intarsiato. Ripartiti alla volta di Malang ci siamo fermati appena fuori città a mangiare presso un ristorantino sulla strada la solita razione di Nasi Campur condito con peperoncino piccante. Alle 16:30, dopo un'interminabile strada di montagna asfaltata ma stretta e piena di curve siamo arrivati al paesino di Ngadisari, punto avanzato di partenza per l'escursione al Bromo.

Il vulcano Bromo

L'agenzia a cui ci eravamo affidati sin da Yogyakarta ci ha alloggiato in una bassa costruzione ad un piano, che sarebbe eccessivo chiamare lodge, munita di minuscole stanzette provviste di letto ma ampie due metri per due, senza nient'altro. La sveglia è stata data alle tre del mattino, per partire entro le quattro con le jeep alla volta della caldera ampia 6 km. al cui interno si trovano vari coni vulcanici, fra cui il monte Bromo. Finita la strada si poteva proseguire a piedi lungo una pianura di cenere in un paesaggio lunare oppure si potevano noleggiare dei cavalli tenuti a freno dalle guide locali. Mentre ci dirigevamo verso la base del cono vulcanico nel buio rischiarato dalla luna, abbiamo incontrato una vera e propria processione di persone che si dirigevano con ogni mezzo verso l'agognata meta a piedi, a cavallo, in moto o con il fuoristrada. Nella foschia che copriva la pianura (essa stessa il fondo di un antico e più vasto cratere), si vedeva una nuvola di polvere e una quantità di luci che risalivano il fianco della montagna. Finalmente sono arrivato alla base della scala in cemento che conduce al bordo sommitale del cratere. Gli ultimi 10 metri di salita erano così affollati che per avanzare ho dovuto scavalcare il corrimano e passare direttamente sul ripido e franoso pendio di polvere. Arrivato sul bordo ci sono volute ancora un bel po' di fatica e di gomitate per farsi strada verso un posto privo di persone, lontano dalla scalinata e opposto rispetto al versante di salita. Sistematomi in una posizione sicura mi sono potuto finalmente dedicare a fotografare l'alba, i vulcani vicini, la valle e la marea di persone assiepate sul bordo del cratere (col rischio di finirci dentro). Alle 5:40 del mattino era tutto finito, con la folla (composta sia da locali che da turisti) che lentamente defluiva verso valle.

Celebes

Sbarcati a Sulawesi all'aeroporto di Ujung Pandang con un volo da Surabaya (+1h di fuso), abbiamo contattato un'agenzia per il trasporto fino a Rantepao, dove siamo giunti verso mezzanotte dopo nove ore di viaggio su una strada tutta buche. Rantepao è nel centro della terra dei Toraja e da qui si possono fare visite ai villaggi nei dintorni. Il giorno seguente abbiamo noleggiato due jeep e visitato alcuni villaggi nei dintorni assistendo nel pomeriggio anche ad un funerale Toraja, con tanto di sacrifici di animali e combattimento di bufali. Anche se il villaggio era pieno di turisti di vari paesi e sicuramente in questa stagione i turisti sono il motore primo dell'economia locale, la gente del posto era autentica, come pure il loro coinvolgimento nella cerimonia che per loro è una specie di festa. La terra dei Toraja (o Tanatoraja) è aspra e rocciosa ma coperta da una folta vegetazione, vi sono montagne di calcare dalle forme più strane. Sparse in mezzo alle colline tra coltivazioni di riso e foreste di bambù grandi come alberi ci sono numerosi grandi massi isolati fatti di una roccia nerastra e compatta con dimensioni che variano fino a raggiungere quelle di una casa. Parecchi dei più grandi hanno delle aperture quadrate alte circa un metro scavate nella roccia che all'interno si allargano fino alle dimensioni di una camera. In uno stesso masso ci sono di solito diverse camere funebri alcune chiuse da una porticina col lucchetto (quelle occupate) ed altre vuote e buie, in attesa del funerale solenne. I Toraja anche oggi non seppelliscono in terra i loro morti ma all'interno di queste rocce, che sono delle vere e proprie tombe di famiglia. I preparativi del funerale possono durare fino a diversi mesi, per dare tempo ai parenti di preparare una fastosa cerimonia. Nel frattempo il morto viene tenuto in casa in una stanza, dentro una specie di sarcofago, fino al giorno in cui tra danze e sacrifici di bufali e maiali viene portato in giro a spalla dalle gente del villaggio e infine tumulato nella roccia.

Il giorno successivo al funerale abbiamo fatto un breve trek di due giorni fino a Batutumong, una specie di rifugio sulle montagne vicino ad alcune case toraja (con i tetti aventi la caratteristica forma di barca e rialzate dal suolo su grossi pali di legno) adibite ad alloggio per turisti dove abbiamo passato la notte. Al ritorno a Ujung Pandang (città poco interessante e piena di venditori ambulanti che ti stressano ad ogni angolo), abbiamo trascorso la mattinata in libertà (visita a Forte Rotterdam) e quindi ci siamo imbarcati su di un volo diretto a Denpasar, l'aeroporto di Bali.

Bali

Dopo aver preso un taxi dall'aeroporto verso Kuta Beach, sbagliando albergo per via delle inesatte indicazioni del capogruppo abbiamo passato la notte in un hotel economico nei pressi di Kuta. La mattina seguente, partendo di buonora con un pulmino noleggiato da un'agenzia locale, siamo giunti a Ubud intorno alle 10. Il capogruppo, Massimo Liberati, ci avrebbe poi raggiunto nel pomeriggio a causa del tempo trascorso in aeroporto nel recupero dello zaino di una partecipante, cosa che gli è infine riuscita, coadiuvato da Riccardo Enrici e dalla stessa. Il resto del gruppo, dopo essersi sistemato al Saren-Inn (carino, per la verità) ha noleggiato un mezzo dall'agenzia di fronte all'albergo ed è partito per la prima delle tre giornate di visita a Bali. Abbiamo visitato la foresta delle scimmie vicino Ubud ed assistito al Tramonto a Tanah-Lot passando per Mengwi. A proposito della famosa monkey forest, bisogna dire che le scimmie ci sono davvero e anche piuttosto aggressive nonché ladre. Una di queste, ha preso di mira uno di noi (Marco) e gli ha infilato la mano in tasca, rubandogli letteralmente un rotolo di banconote. Il malcapitato ha dovuto così ricorrere ai guardiani, i quali, dietro mancia, danno banane alle furbe scimmie che prontamente rilasciano il maltolto. Bell'esempio di simbiosi cooperativa interspecifica! Il giorno dopo abbiamo visitato il tempio induista di Goa-Gajah Cave, o grotta dell'elefante, passando poi per Gunung Kawi (complesso situato in fondo ad una valle verdeggiante con ben 10 candis giganteschi scolpiti nella roccia). Direttici all'interno siamo arrivati sul bordo del cratere che racchiude il lago Batur (giro in barca fino a Truyan e al cimitero i cui cadaveri sono lasciati all'aperto) con al centro il vulcano Batur, alto 1800 mt. Dopo un bagno nelle sorgenti calde di Tirtha ci siamo diretti al tempio di Tirta-Enpul, noto per le sorgenti d'acqua e sovrastato dalla faraonica villa presidenziale (peraltro deserta) di Suharto. Alla sera cena al Lotus Café dii Ubud dove ho assaggiato un ottimo salmone. Martedì 25 partenza alla mattina presto per Batubulan per vedere lo spettacolo di danza Barong e poi sosta a Celuk per visitare i negozi di oreficeria. Siamo poi stati a Batuan, centro di pitture e tessuti. A mezzogiorno ci siamo fermati a Mas, paese noto per le sculture in legno, dopodiché a Ganyar, per vedere sete che nessuno ha avuto la forza di guardare, data la stanchezza e lo stress dovuto ai continui spostamenti. Sulla via del ritorno all'albergo di Ubud abbiamo fatto sosta al tempio indù di Kehen, sormontato da un immenso albero simile ad un baobab. Il giorno seguente ci siamo sciolti per poi ritrovarci a cena il penultimo giorno da Poppies a Kuta ed infine all'aeroporto il 31. Mi sono così trovato solo, per conto mio, durante gli ultimi cinque giorni del soggiorno a Bali. Per prima cosa mi sono diretto al tempio di Besakih sulle pendici del Monte Agung con la speranza di compiere l'indomani l'ascensione alla vetta del monte più alto di Bali. Il momento del viaggio che mi è piaciuto di più è stato arrivare con i bemo locali fino al tempio di Besakih (1000 mt.) alla mattina e da li partire a piedi da solo con la guida verso mezzanotte per salire il monte Gunung Agung, (un vulcano di 3150 metri) arrivando in tempo per vedere l'alba dal punto più alto di Bali. E' stato il giorno più bello del viaggio e anche il più faticoso, molto diverso dall'alba sul Bromo. Non c'era nessuno tranne me e la guida mentre la cima (grande come una tavola da pranzo) era esposta ad un vento gelido da cui non ci si poteva riparare. Vedere spuntare il sole dietro i monti di Lombok in un cielo blu acciaio e con le coste di quasi tutta Bali in vista è stato stupendo. La discesa dalla cima è stata una corsa in discesa dopo un'ora di vento gelido passata in vetta in attesa dell'alba. Verso le 8 del mattino ero di nuovo a Besakih, dopo otto ore trascorse in piedi e 4300 mt. di dislivello tra salita e discesa. Alle 9:30 ho preso al volo il bemo per KlungKung e, dopo circa 1h, ho fatto il cambio per Gianyar da dove per sono arrivato alla stazione di Denpasar. Da qui infine un ultimo bemo per Sanur fino all'Hotel Bali Beach, dove avevano preso alloggio il giorno precedente due coppie del nostro ex-gruppo.

L'Hotel Bali Beach a Sanur è un albergo a 5 stelle che risale ai primi anni sessanta. E' di dimensioni notevoli, con 9 piani che si affacciano direttamente sul mare e spiaggia privata. Assieme al Bali Hyatt Hotel (+ caro) è il più importante hotel a Sanur Beach e forse in tutta Bali. Le spiagge "in" a Bali sono essenzialmente due: Kuta e Sanur. Mentre Kuta è la tipica spiaggia frequentata da un turismo composito, Sanur è più esclusiva. Certo è che per chi non ama l'affollamento e il caos le spiagge a Nord di Bali, specialmente verso Est, sono tra le meno popolate e più vicine all'epoca antecedente l'invasione turistica di massa, sebbene oggi ristoranti e alberghi si trovino lungo tutte le coste, anche le più remote. Il turista, si sa, è un animale che preferisce radunarsi in branchi con i propri simili e rifugge dalla quiete e dalla solitudine, cose per le quali ha invece pagato un caro prezzo. Il Bali Beach ha tre piscine, 9 tra bar, snack e ristoranti, un campo da golf e un minigolf senza contare numerosi negozi, un massaggio, il bowling ed altro ancora. Per stare largo mi sono sistemato in una camera doppia durante gli ultimi quattro giorni, pagando l'equivalente di 70$ al giorno extra esclusi, (non caro per un cinque stelle ma decisamente per un albergo indonesiano). Il lusso è secondo gli standard internazionali, e alla fine del viaggio mi ci voleva proprio. In effetti non sono poi rimasto a lungo con le mani in mano, essendo il 28 mattina in mare per un'escursione in barca con snorkeling oltre la barriera corallina, il pomeriggio passato a nuotare in piscina e la sera fuori a cena con i quattro mantovani. Il giorno dopo abbiamo noleggiato delle mountain bikes e sotto un sole impietoso abbiamo fatto un giro di 16 Km fino a Kuta Beach e ritorno. La sera c'è stato l'incontro con il gruppo per la cena di fine viaggio dal mitico Poppies a Kuta per provare l'aragosta. L'ultimo giorno a Bali, assieme a Marco & Franca, abbiamo noleggiato tre moto e, non senza difficoltà perché in Indonesia si guida a sinistra, ci siamo diretti a Nord, attraversando tutta Bali fino a Singaraja e Lovina Beach, passando per il lago Bratan, dove ci siamo fermati al tempio di Ulu Danu. Il giro in moto è stato di oltre 240 Km tra andata e ritorno, e ci ha portato ad attraversare la catena montuosa che costituisce la spina dorsale dell'isola, fino ad un passo alto 1300 mt. dove al ritorno abbiamo preso acqua e nebbia che mi hanno bagnato e intirizzito fino alla discesa in pianura. Chi avrebbe mai pensato di vestirsi per proteggersi dal freddo in un'isola tropicale dove il problema per potersi addormentare è possedere un condizionatore d'aria funzionante?

agosto 1992

Bibliografia

  1. Joe Cummings, Susan Forsyth Alan Samagalski,Tony Wheeler - Indonesia - a Lonely Planet travel survival kit. - Australia 1990 - 2ª Edizione, gennaio 1990 pp.902 con foto a colori, 42.000 £. Guida in lingua inglese della Lonely Planet.