Venezia

Andar a ombre

Cronaca di un sabato per bàcari a Venezia

Ca' Foscari

Testo e foto di Giuseppe Pompili

"La verità è figlia del tempo" (Pietro Aretino)

 

Un canale con barcone ortofrutta
Un canale con barcone ortofrutta

Nessuno mi aveva mai spiegato cosa diavolo fosse un bàcaro, se proprio ci tenete a saperlo. E’ incredibile quante persone passino l'intera esistenza senza mai chiedersi il significato di una dannata parola. Molti, poi, se glielo dicessero, non ci metterebbero piede per tutto l’oro del mondo. Tranne i veneti, naturalmente. Loro hanno fatto del bere un’arte, e viceversa. Ma non sono tanto sicuro ci sia molta differenza. Per farla breve, c'è un modo di pranzare a Venezia: "andare per ombre e cicchetti", che consiste nel girare per i vari bàcari

Ombre e cicchetti
Ombre e cicchetti

e osterie consumando di volta in volta piccoli assaggi di pesce o salumi e bevendo "ombre" di vino. A Venezia si bevono giornalmente 50.000 ombre. Una bella cifra per una città che, dopo il calo demografico degli ultimi anni, non conta ormai che 75.000 abitanti. La bella pensata non poteva che venire a un vicentino, quella specie di cugino di campagna di un veneziano lagunare: forestiero quanto basta da esser riconoscibile a cagione dell’accento ma non abbastanza da confondersi con l’orda anonima degli stranieri che settimanalmente di Venezia fanno strazio. Che è una città bellissima. La città più bella del mondo e via discorrendo, a mio parere. Pino il vicentino, dunque, davanti a un musetto di porcello in quel di Parma, vuoi per colpa della pesantezza della cucina emiliana o a causa d’un principio d’ebbrezza etilica, si lasciò sfuggire lo scorso novembre una proposta che suonava come una promessa: “Perché non organizziamo un sabato a Venezia, andando per bàcari?”.

 

Manifesto in osteria
Manifesto in osteria

Il termine "bàcaro" si fa risalire a una esclamazione di un gondoliere che un giorno, assaggiando un nuovo vino venuto dal sud Italia, esclamò: Bon, bon! Questo xe proprio un "vin de bàcaro". L'espressione veneziana "far bàcara" equivale a far baldoria, mangiare e bere in buona compagnia: quindi un "vin de bàcaro" non può essere che un vino adatto a questo scopo. Secondo questa leggenda, riportata da Elio Zorzi nel suo libro "Osterie Veneziane´ del 1928, il gondoliere avrebbe creato un nuovo termine, che si trasmise poi ai locali di mescita di vino sfuso, del vino pugliese e dei suoi spacci, che pian piano vennero aperti in tutta la città. E quale miglior Compagnia di quella dell’osteria virtuale di italia hobby viaggi, per l’occasione incarnatasi in un’osteria reale a Venezia? A ben guardare, l’unione tra carne e vino, tra sacro e profano, ha avuto sempre numerosi, e ben più illustri, profeti. Ma sto divagando. Detto fatto, trascorso il Carnevale di Venezia, con il suo strascico di kitsch gotico, e la Santa Pasqua, con i suoi cortei dei miracoli, Venezia assume per breve tempo un aspetto umano, conosce un intervallo di quiete prima dell’assalto estivo: l’ideale per chi voglia gustarsi un’ombra in santa pace senza che il compare accanto gli pesti i piedi o gli pisci sui pantaloni e via discorrendo.

 

Foto in vetta
Il "maestro" di bevute nb

Eletto dunque per acclamazione il vecchio Pino interprete e guida, con la fiducia incondizionata che si ripone nel saggio zio che parla a nome di tutta la famiglia (a causa della legittima suspicione sull’attendibilità dei capigruppo di mestiere) gli abbiamo affidato una cassa comune di venti euro a testa, confidando nella nostra buona stella e nell’esperienza da lui vantata in materia di bàcari. A pensar male si fa peccato ma in genere ci si prende, perché il buon Pino è riuscito a perdersi subito dopo la prima osteria (1), una delle più ruspanti, situata a pochi passi dalla stazione di Santa Lucia. Ma andiamo con ordine. Per primi, oltre a me e sandrina (un tipetto tosto, stile capoinfermiera di M.A.S.H.,secapite quel che intendo) erano già arrivati in treno Irene da Verona col

Carlo, nb e amica
Carlo, nb e amica

neomarito Davide di Bologna (ma che ci faranno a noi emiliani, ’ste venete), Pino in compagnia di natonga (quest’ultimo più sconvolto del solito: aveva spento il telefonino non appena sceso dal treno e così l’ho riconosciuto per puro caso da lungi solo grazie ai suoi baffi spioventi alla Asterix). Oltre a natalino erano giunti l’Amerikano Carlo “Grand Wazoo”, riconoscibile dalla mascella da mastino rinforzata al titanio, Angelo (Artan, compare inseparabile di Pino) e un’amica di Carlo defilatasi non appena fatte le presentazioni. Partiti così alla volta del primo bàcaro, non eravamo ancor giunti alla terza ombra e al secondo “cicheto” di

Gabri
Gabri

baccalà mantecato presso l’osteria Rivetta in Santa Croce, quando ha squillato inopinato un cellulare. L’interruzione ci vedeva giocoforza ritornare dalle parti della stazione per il ricongiungimento con la pattuglia giunta da piazzale Roma. E così, alla “Compagnia del Vinello” si sono uniti Marcaval (un tipo segaligno, alto e smilzo ma loquace come pochi e fuori più di un balcone) oltre a Dario & Gabri, due veneti astemi, una bestemmia, che non si capiva perché fossero venuti se non per godere della compagnia dell’"allegra brigata": che siano una coppia di masochisti?!?

 

E’ meglio aver avuto che aver da avere, dice il mio amico di modena, e così, non appena riunito il gruppo, ci siamo lasciati alle spalle l’osteria già visitata per puntare direttamente sulla seconda in

Un "campiello" veneziano
Un "campiello" veneziano

programma, in zona Rialto. Alla terza svoltanel labirinto di corti, calli e campielli “tranquilli, conosco le scorciatoie” sosteneva Pino a ogni bivio, eravamo completamente persi. Riguadagnato con sudore il Canal Grande, ci siamo resi conto d’essere sul lato sbagliato. Per tornar sulla retta via ci è toccato attraversare lo storico ponte dell’Accademia, un aereo arco ligneo che sembra reggersi sul Canal Grande solo grazie a un incantesimo. Al ponte di Rialto

Il Canal Grande dal Ponte dell'Accademia
Il Canal Grande dal Ponte dell'Accademia

l’orologio segnava già le 14:30, motivo per cui la banda cominciava a spazientirsi e il malcontento serpeggiava palpabile tra le fila. Fame e sete avevano già abbondantemente superato il livello di guardia per approssimarsi a quello di pericolo. Mai osteria fu tanto sospirata quanto la seconda (2) (la prima per alcuni), la Cantina Do Mori, in San Polo dietro Rialto. E mai più ci è toccato un salasso pecuniario paragonabile. Tanto per esser chiari, questa sponda del Canal Grande prende il nome di Riva del vin: un nome che è tutto un programma, perché nei paraggi aumenta la concentrazione d’osterie e

Al Mercato del pesce
Al Mercato del pesce

bàcari dove bere un'ombra è un rito sociale, una dichiarazione di amicizia e solidarietà che si rinnova di giorno in giorno, di ora in ora. La leggenda vuole che in tempi lontani il vino venisse venduto in piazza San Marco da venditori

Misure del pesce al mercato
Misure del pesce al mercato

ambulanti. Questi erano soliti seguire l'ombra del Campanile, affinché il vino rimanesse fresco. Per i forestieri i bàcari veneziani rappresentano una possibile chiave per capire la dimensione diversa di una città dove la fretta non esiste, dove i ritmi sono quelli delle cantilenanti cadenze della lingua veneziana, dei passi che rimbombano lenti nelle calli nascoste. Una città dove non serve darsi appuntamento perché si incontrano più volte al giorno le stesse persone, con una casualità che ha le leggi della predestinazione, dove l'uscire di casa non è altro che la voglia di ritrovarsi in un ambiente per nulla estraneo e con persone familiari.

 

Angelo
Angelo

L’oste dei Do Mori, un furbacchione matricolato, con una sola occhiata ha compreso con che specie di beoni aveva a che fare. Ha predisposto l’esca riempiendo un vassoio di cicchetti, pescetti, polipetti, seppioline e formaggio piccante, versando nel contempo ombre senza risparmio. Mentre la banda, provata dalla lunga astinenza, si gettava su tanta grazia di dio con l’eleganza d’un avvoltoio e il bon ton d’un ippopotamo, uno del

Dario
Dario

nostro gruppo, bastardo dentro almeno quanto sorridente fuori, faceva l’indifferente in un cantuccio, posticipando le libagioni per poter meglio cogliere gli attimi d’abbrutimento degl'impenitenti ubriaconi. Un flash impietoso, sparato ad altezza d’uomo, coglieva primi piani da brivido, bocche piene da far paura: tutto materiale da ricatto di prima scelta, mirabilmente predigerito in salsa digitale da quel concentrato di tecnologia Sony che gli traballava sul pancione. Placati i “basic instincts”, si passava alla fase meglio conosciuta come “riempimento degli angoli” prima della classica fase d’assestamento, preparatoria a un successivo sisma. Pagato il conto (salatissimo), il corno d’ottone di Pino chiamava a raccolta i ritardatari (e i più ingordi) con un penetrante squillo

Natalino, il nostro "Maestro" di bevute
Natalino, il nostro "Maestro"
di bevute

che ci conduceva alla tappa successiva (3), l’Ostaria Sora al Ponte, in San Polo giusto dietro al mercato del pesce. Qui ci raggiungeva Cristina, una sorridente niuentry seguita da Omar e Stefano, due giovani scioperati in cronico ritardo con la scusa di un corso schifo d’inglese. Stordito dall’alcool mi sono reso conto solo in quel frangente della presenza d'uno zoppicante franbos, che pareva fosse uscito da uno

"La verità è figlia del tempo", al Mercato del Pesce
"La verità è figlia del tempo",
al Mercato del Pesce

scontro con un T.i.r. Il poverino, causa caduta, si era procurato una contusione inguinale lunga 15 cm, che ha cercato in tutte le maniere di farsi vedere da sandrina, che sfortunatamente aveva lasciato a casa i ferri del mestiere. Ma non abbiamo avuto davvero tempo per fare qualcosa, perché, mentre aspettavamo i ritardatari sotto le antiche volte del mercato del pesce, natale, lesto come un ratto, riusciva quasi ad infilarmi nella tasca della giacca una testa di gambero putrefatta, approfittando del fatto che ero tutto preso a fotografare gli astanti. “Che ti si possa trasformare in aceto tutto il vino che tieni in cantina” gli ho detto.Peggior insulto per lui non esiste. Per ingannare l’attesa, dallo zainetto di nb, vero professionista della bevuta, usciva poscia una birra lappone (portata personalmente dal "maestro" natalino e tenuta fresca sino all’ultimo grazie ad una bottiglietta d’acqua ghiacciata: quando si fa di necessità virtù).

L'oste dell'osteria "Da Pinto"
L'oste dell'osteria "Da Pinto"

L’ottimo fermentato è servito da pretesto per consentir di meglio immortalare i

Sandrina e Frambos
Sandrina e Frambos

presenti mentre si attaccavano al collo della bottiglia con la voracità d'un poppante affamato al capezzolo della madre. Scolate le bottiglie di emergenza siamo entrati (4) Da Pinto, S. Polo 367. L’osteria è carina, con tutti i suoi bravi muri rivestiti da scaffali stracarichi di bottiglie eccetera eccetera. Peccato solo che quell’oste malandrino ci abbia spremuto 75 euro in 18, quasi 9000 vecchie lirette a cranio. Dario non ha quasi bevuto, ma i maligni hanno notato come sia ugualmente riuscito a rientrare dal versamento effettuato in cassa comune. Più le ore passavano e il tasso alcolico cresceva, più la gita per calli si faceva interessante, sicché all’Ostaria dell’Antico Dolo (5) chi è riuscito a trovar posto non ha avuto pudore alcuno a sedersi al tavolo per meglio spazzolare un piatto di polentina con le seppie, innaffiate da ombre come se piovesse. Qui il conto ha superato ogni record precedente, giungendo a 85 euro. I più accorti (o i meno sbevazzoni) hanno preso a pretesto l’esaurimento dei fondi di cassa per cominciare a

Osteria dell'Antico Dolo
Osteria dell'Antico Dolo

defilarsi (un esempio per tutti, nb, che con la scusa che Jack London e Artan dovevano prendere il treno prima del suo li ha accompagnati in stazione, come se avessero bisogno di lui per trovare la strada… portandoli poi al bar della medesima: come dire dalle stelle alle stalle). Peccato per loro, perché le ultime tre osterie, “La Patatina”, “Vivaldi” e “Alla Vedova” sono state un continuo crescendo di qualità (fortunatamente a un prezzo contenuto), sino all’apoteosi finale: dolci e caffè in una pasticceria che si affaccia sul Canal Grande. Così libando, le ombre della sera erano già calate da un pezzo e l'ora delle separazioni si faceva di momento in momento sempre più ineluttabile. “Ebbene, qui, sulle rive del Canal Grande, cari amici, si scioglie la nostra compagnia nella terra delle ombre”. “Andate in pace”. “Non dirò "Non piangete" perché non tutte le lacrime sono un male”. Ma Dario, che era stato sino ad allora immobile e silenzioso, ci ha detto: “salite in macchina con noi, tu e sandrina, perché è meglio tornare in quattro insieme in macchina piuttosto che in due da soli in treno”.

 

Ci sono rimasto secco! Conservavo da qualche parte in tasca i due biglietti per il treno di ritorno, lo giuro. Quando si alza un po' troppo il gomito non si può mai esser certi della direzione da prendere per tornar a casa. Ma Dario ha insistito perché salissimo con lui. D’altronde, era il solo di cui mi potessi fidare perché non aveva bevuto neppure

Gabri e sss
Gabri e sss

un’ombra. Di vino, voglio dire: sostiene di essere astemio. Però non è astemio di grappa e superalcolici: quelli li beve, eccome se li beve! Anche la Gabri è astemia, dice. In effetti non ha bevuto né vino né niente. L’impressione è che sia una coppia molto elastica. Strana la gente, vero? Al parcheggio multipiano abbiamo salutato Marcaval, che sembrava quasi sobrio. Ma c’è da dire che Marco è sempre così, sempre in bilico, sia che beva sia che non beva. Io ero un po’ brillo: ho cercato di baciarlo. Marcaval non ha fatto una piega: è un signore, lui. Voglio dire, ma ci pensate a baciare un uomo con la barba, e pungersi con tutti quei peli acuminati? Finisce che si perde tutto il gusto. Comunque, finalmente è arrivato il momento in cui Dario ha acceso il motore della sua Mercedes turbo cabrio superaccessoriata e vattelappesca, e ci siamo diretti verso Padova. Non prima però di aver visto con la coda dell’occhio Marcaval, che tagliava la strada contromano appena uscito dal parcheggio. Neanche mezz’ora dopo eravamo sotto casa sani e salvi, anche se sandrina si era addormentata in macchina come un angioletto (ma ha poi pagato, vomitando tutta la notte). Che aggiungere d’altro? E’ stato un sabato memorabile. Lo giuro su dio!

Aprile 2002

Acknowledgments:

Un ringraziamento speciale alla recente rilettura di Salinger, ai ricordi di Larsson e a J.R.R. Tolkien.

 

NOTIZIE PRATICHE: ANDAR A BACARI A VENEZIA, DOVE, COME, QUANDO & QUANTO (ANNO 2002)

 

Bacari:

(01) Osteria Rivetta – Santa Croce n°637/a (giudizio: buona).
(02) Cantina “Do Mori” – S. Polo 429, Rialto (giudizio: cara) Tel: 041/5225401.
(03) Ostaria “Sora al Ponte” – S. Polo, 1588 (giudizio: buona) chiusa il lunedì, Tel.: 041/718208.
(04) Ostaria Da Pinto – S. Polo, 367 (giudizio: cara ma buona).
(05) Ostaria Antico Dolo - Ruga Rialto, 778 (giudizio: cara) chiusa il martedì. Tel 041/5226546.
(06) Osteria Al Ponte “La Patatina”- S. Polo, 2741/A (giudizio: ottima) Tel:041/5237238 www.lapatatina.it
(07) Osteria Vivaldi – S. Polo, 1457 (giudizio: ottima) Tel: 041/5238185.
(08) Osteria alla Vedova (o Ca’ d’Oro) – Cannaregio 3912 (giudizio: buona).
(09) Cantina “Do Spade” – S. Polo, 860 – Calle do Spade (giudizio: non provata) Tel: 041/5210574 www.dospadevenezia.it

(10) Ostaria al Forno – Calle dei Forni 2282/A, Arsenale (giudizio: ancora non provata)

 

Dove pernottare:

Poiché dopo aver visitato anche una sola delle osterie di cui sopra non è saggio mettersi subito alla guida, è bene fermarsi almeno per una notte a Venezia. Le possibilità di alloggio nella città lagunare sono molteplici. Questo sito è un valido aiuto per trovare un hotel in città.

 

Come:

A piedi o in vaporetto, raggiungere Rialto e recarsi agli indirizzi di cui sopra.

 

Quando:

Tutti i giorni feriali, dalle 8:30 alle 20:30, domenica esclusa. Alcuni bàcari osservano la chiusura pomeridiana dalle 15 alle 18.

 

Quanto costa:

si va dai 2 euro a testa per bàcaro (per un paio d’ombre e un cicchetto) ad oltre 4 euro per le stesse cose nei posti più turistici e raffinati (da evitare). Nel nostro caso la fregatura l’abbiamo presa solo alla Cantina Do Mori e all’Antico Dolo.

 

NOTIZIE PRATICHE: ANDAR A BACARI A VENEZIA, DOVE, COME, QUANDO & QUANTO (ANNO 2017)

 

Nota Bene:

Quindici anni dopo è cambiato tutto. Molti bacari hanno chiuso, (come l'osteria Vivaldi) altri si sono trasformati in ristoranti o pizzerie (come l'osteria La Patatina o Sora al Ponte) e, sopratutto, l'idea stessa di andar per bacari è appannata. Il gusto si è modificato a favore della qualità sulla quantità e ci innervosisce il trappolone turistico, anche se siamo noi i turisti.

 

Bacari:

(1) Ca' D'Oro alla Vedova – Calle Cà D'Oro, Cannaregio 3912 (giudizio: buona, consigliata dai veneziani).
(2) Cantina “Do Mori” – S. Polo 429, Rialto (giudizio: prezzi medi; uno tra i pochi veri bacari dove servono solo cicchetti).
(3) Osteria Al Diavolo e l'Acquasanta – Calle della Madonna, 561 bis S. Polo (giudizio: non provata, consigliata dai veneziani).
(4) Osteria Al Squero – Dorsoduro 943-944 (giudizio: non provata, consigliata dai veneziani)
(5) Bacarando - San Marco 5495 (giudizio: non provata, secondo i veneziani sta un po' scadendo).
(6) Estro - Dorsoduro 3778 (giudizio: non provata, consigliata dai veneziani)

(7) Osteria Ai Do Pozzi - Castello 2613 (giudizio: buono)

(8) Cantina “Do Spade” – S. Polo, 860 – Calle do Spade (giudizio: non provata; apre al pomeriggio dopo le 18)

(9) Ostaria al Forno – Calle dei Forni 2282/A, Arsenale (giudizio: più un wine bar che un bacaro. Caffè a 2 euro)

 

Come:

A piedi o in vaporetto, raggiungere Rialto e recarsi agli indirizzi di cui sopra.

 

Quando:

Ormai sono aperti quasi tutti quasi sempre e molti propongono piatti da ristorante.

 

Quanto costa:

si va dai 2,5 euro per un'ombra agli 8 per un calice. I cicchetti costano da 1 a 2 euro.