Pakistan

Genti del Baltistan

Cronaca di un trekking sul Baltoro

Testo e foto di Giuseppe Pompili

"Non est ad astra mollis e terris via"
Seneca

Il Boeing 737 si tuffa nella valle, stretta fra scoscese e brulle montagne scure. Tremila metri più in basso un nastro d'argento manda riflessi abbaglianti snodandosi pigramente sul fondovalle: è l'Indo, il fiume che nasce dal Kailash e deve attraversare gli altopiani del Tibet e le valli del Karakoram e dell'Hindukush prima di sfociare nel Mar Arabico. I radi pioppi in riva al fiume si specchiano nelle torbide acque grigie con riflessi malachite, là dove il corso si apre in un labirinto di meandri e isolotti sassosi. Il cielo, privo di nubi, splende d'un azzurro topazio così intenso che lo sguardo stenta a sostenere. L'intensità della luce obbliga ad indossare gli occhiali, privilegio da ricchi in queste valli. Skardu, capoluogo del Baltistan, si presenta come un paesino incastonato tra il fiume e le ripide montagne del Karakoram, caotico e inquinato come riescono a essere solo i maggiori centri pakistani.

 

Prendiamo alloggio in un hotel con vista sull'Indo, che scorre pigramente poco più in basso: la tranquillità dell'alto corso del fiume è solo apparente perché poco oltre Skardu la valle si restringe e le acque, strette tra rupi e gole vertiginose, da placide e quiete si trasformano in un caos turbinante che emette cupi boati mentre Valle di Skardu spazza tutto ciò che ne ostacola il cammino. Quindici chilometri più a monte una valle laterale porta le acque del fiume Shigar a mescolarsi con quelle dell'Indo. La confluenza è stretta e turbolenta, ma poco dopo la nuova valle si allarga e compaiono villaggi e campi coltivati a colonizzare i grigi pendii della valle col verde smeraldo dell'estate. Poco oltre il villaggio di Chitran c'è la confluenza col Braldo, anch'essa segnata da un restringimento e da profonde gole che la strada, strettissima e vertiginosa, risale tra mille giravolte e improvvise conversioni a U. Qui, nel corso inferiore del Braldo, il suolo appare del tutto inconsistente. Montagne intere slittano verso il basso in colossali slavine, quasi fossero attratte dalle cupe acque turbinanti. Contrafforti di ciottoli e sabbia franano senza sosta, dando origine a instabili conoidi. Massi di ogni dimensione affiorano dai ripidi pendii di arenaria, trattenuti solo dall'attrito di un fazzoletto di sabbia. Tutto è in equilibrio precario, instabile, pronto a rimettersi in movimento al primo accenno di pioggia, quando le acque si precipitano a valle trascinando con sé interi pendii con tutto ciò che vi sta sopra. La strada è perennemente interrotta e ricostruita ogni estate seguendo sempre nuovi tracciati, ogni volta cancellati da un ambiente selvaggio che non concede sconti alla tenace caparbietà degli uomini.

 

Oltrepassata Dasso, una manciata di sassi tra fazzoletti verdi, si giunge ad Askole, un pugno di case che costituiscono il più avanzato villaggio della valle. Qui l'improbabile e precaria pista ha termine, perché poco oltre Askole il fronte di un immenso ghiacciaio proveniente da est invade la valle nel punto in cui le acque verdastre del Biafo si mescolano a quelle grigie del Braldo. Alte morene racchiudono torri e guglie di detriti che lasciano intravedere una base di ghiaccio sporco impastato di polvere, ciottoli e detriti che scivolano entro torbidi laghetti color giada.

 

Il cammino a piedi inizia qui, scortati e accuditi da un numero di portatori che ricorda le spedizioni africane di StanleyIn marcia verso il Gondoghoro La e Livingstone: una media di sette portatori per ciascuno di noi. Sono coltivatori e pastori che abitano da secoli queste valli inospitali, rese tollerabili solo dalla breve e umida estate. La legge impone che i gruppi di trekking o le spedizioni alpinistiche dirette ai colossi del Karakoram debbano ingaggiare sul posto un numero prestabilito di portatori. Con puntigliosità tutta burocratica sono Gruppo al passo di Gondoghoroprescritte le tappe giornaliere, codificato il carico massimo da trasportare, le razioni alimentari quotidiane (farina e riso), il vestiario e la paga. Quest'ultima è calcolata definendo opportuni "stage", ovvero tappe prestabilite tra una località e la successiva, il cui numero è valutato in base alla difficoltà, alla quota, alla lunghezza del cammino. Per ogni stage la paga è fissata in 220 rupie pakistane, circa 4 €. Le tappe facili delle quote inferiori, lunghe sui 20 chilometri, sono percorse mediamente in 6-7 ore con un carico sulle spalle che può arrivare a 25 kg. Il compenso per una giornata di lavoro va dai due ai quattro stage, con una piccola mancia extra, quando va bene.

 

La presenza dei portatori Baltì s'impone all'olfatto ancor prima che agli altri sensi a causa di un odore penetrante che ne segnala la presenza senza equivoci. L'effluvio colpisce come una sferzata mentre ci passano accanto: un Sentiero dopo Askolemisto di fumo, sudore rancido e sterco. L'afrore costituisce parte integrante tanto dei portatori quanto degli abitanti dei piccoli villaggi sperduti nelle valli e non fa discriminazioni di sesso o d'età, coprendo tutti indistintamente. Il sentore acre è la quintessenza stessa di vestiti che di rado vedono altra acqua all'infuori di quella piovana. L'abito classico pakistano, di colore grigio o castano, è costituito da ampi calzoni e da una sorta di camicione che scende sino alle ginocchia, provvisto di lunghi spacchi d'ambo i lati. La divisa è la stessa per ogni stagione, con qualsiasi clima. L'unica aggiunta è costituita da una giacca di foggia occidentale o da un maglione, quando il freddo si fa intenso. La barba o i baffi sono d'obbligo, come pure il caratteristico copricapo di lana bruna infeltrita a forma di scodella che ripara in eguale misura sia dalle intemperie che dai raggi di un sole che non fa sconti, conferendo alla pelle il colore del mogano scuro e l'apparenza del cuoio antico.

 

Superata Askole, camminiamo costeggiando le torbide acque mugghianti del Braldo sino ad un'alta morena posta alla confluenza con il ghiacciaio Biafo, il cui spessore supera in alcuni punti i mille metri. La valle s'inoltra per unaLe cattedrali del Baltoro cinquantina di chilometri fino ad un circo glaciale posto a 5200 metri di quota, contornato da picchi ancor più alti, per poi ridiscendere d'altrettanto nella valle dell'Hispar. E' uno dei sistemi glaciali più grandi del mondo ad esclusione delle zone artiche. Korfong è una macchia d'alberi bassi e nodosi riparati dalla morena dal vento gelido che spira incessante dal Biafo come l'aria da una cella frigorifera spalancata. Il sentiero prosegue a mezza costa, ora abbassandosi sin quasi a sfiorare la corrente impetuosa del Braldo ora rialzandosi per qualche decina di Le torri di Trangometri sopra le acque vorticose. Pare scavato con l'esplosivo nella roccia a picco sul fiume, dove si apre quel tanto che basta per lasciare passare un uomo. Lungo la pista si osservano abbondanti tracce del passaggio di asini e cavalli, impiegati esclusivamente per rifornire i posti militari che sorgono lungo la valle. Le zone di confine sono presidiate dall'esercito, la cui presenza è legata più a motivi di prestigio che ad una reale esigenza di difesa contro un'improbabile offensiva terrestre sferrata attraverso regioni impervie e invase dai ghiacci per la maggior parte dell'anno.

 

All'improvviso il sentiero scompare, sommerso dalla rapida corrente. Per proseguire occorre seguire una cengia stretta e Le "cattedrali" del Baltoro ripida che strapiomba sulle acque turbinose. Lo stretto risalto compie una brusca svolta alla confluenza con la valle del Dumordo che risale con una lunga deviazione sino al punto in cui si restringe tanto da permetterne l'attraversamento su di un instabile ponte sospeso. Si riprende così il corso del Biaho Lungpa, torrente che sgorga direttamente dalla bocca del Baltoro, un antro oscuro di forma semicircolare la cui volta si perde nelle viscere del ghiacciaio. Una ripida parete ghiacciata color grigio cenere torreggia imponente sul fondovalle per poi suddividersi in molteplici lingue solcate da crepacci e sovrastate da massi pericolanti di ogni forma e dimensione. L'orizzonte è chiuso da imponenti pareti triangolari di solido granito color ruggine venato da riflessi grigi che si tingono di rosa sotto i raggi del sole al tramonta, sono le Torri di Trango, sfida e richiamo potente per i migliori alpinisti. Sul lato opposto, con la base celata da neri contrafforti, spuntano alcune cime del gruppo dei Masherbrum, incappucciate da immacolati ghiacci perenni e difese da vertiginosi seracchi che strapiombano in abissi invisibili. Il fascino di questa visione risiede nell'enormità delle proporzioni e nel brivido che trasmette il paesaggio primordiale, all'apparenza immutabile eppure in perenne trasformazione, i cui ritmi, dal lento rifluire dei ghiacciai alla genesi delle montagne, si misurano in secoli e millenni.

 

A Paiju s'incontra l'ultimo rifugio accogliente, una macchia d'alberi circondata da verdi prati attraversati da un limpido ruscello che si gonfia pericolosamente quando piove. Estrema oasi di vegetazione dinanzi al fiume di pietre del Baltoro, è anche la tappa in cui i portatori sono soliti riposarsi un giorno intero, in vista della salita sull'inospitale ghiacciaio dove occorre portarsi appresso tutto il necessario per sopravvivere, dai viveri al combustibile. E' l'occasione per macellare una capra e sedersi in cerchio al tramonto al riparo degli alberi per cantare e ballare, dissetandosi con limpida acqua di fonte. Qui abbiamo ballato insieme, accompagnati dal ritmo di tamburi ricavati da bidoni o taniche di carburante vuote. Uno svago per soli uomini, perché la stretta osservanza islamica degli abitanti delle alte valli del Baltistan impone alle donne la segregazione all'interno delle case, escluse da ogni attività pubblica che non sia il duro lavoro nei campi.

 

Nonostante sia un enorme fiume di ghiaccio, la superficie del Baltoro è notevolmente accidentata perché solcata da Concordiaalte creste e morene ricoperte da una spessa coltre di macigni, sassi e ciottoli, trasportati dal ghiaccio sottostante che scorre verso valle come un nastro trasportatore. Qua e là si aprono crepacci profondi, accanto a laghetti verdastri riempiti dalle acque di scioglimento. Torrenti vorticosi sbarrano il cammino scorrendo spumeggianti entro levigati toboga di ghiaccio azzurro per scomparire di botto inghiottiti da profondi pozzi. Per questo risulta assai più La vetta del K2agevole risalire il ghiacciaio tenendosene per quanto possibile all'esterno, sul filo delle morene laterali o percorrendo sentieri che si arrampicano alti sui fianchi della valle. Più si sale, con maggior frequenza spuntano tra le rocce splendenti blocchi di ghiaccio liscio alti come palazzi, soprannominati le "vele" del Baltoro. Ogni valle laterale contribuisce con un proprio affluente glaciale che si fonde al corso principale in un caos simile ad un mare in tempesta. A quota 4600 metri, la vista si apre per spaziare su di un ampio circo generato dall'incontro di tre grandi ghiacciai, il Godwin Austen, che scende dal K2, il Broad Peak Glacier, che precipita dall'omonima montagna, e l'upper Baltoro Glacier, che nasce da lontane seraccate aggrappate ai fianchi del Baltoro Kangri. E' Concordia, dove lo sguardo può finalmente spaziare su monti che superano gli ottomila metri, ancor distanti eppure tali daLa salita al Gondoghoro costringere ad alzare lo sguardo per ammirarli. Sulla destra il gruppo dei Gasherbrum, nascosto quasi per intero dalla moleIl Passo di Gondoghoro, 5638 m del GIV, di fronte sbarra il cammino la mole del Broad Peak, a sinistra, al termine del Godwin Austen, svetta la nera piramide del K2, venticinque volte il volume del Cervino. Le proporzioni colossali, i chilometri verticali di pareti, incombenti eppure ancora assai distanti, hanno fatto e fanno di Concordia il punto d'osservazione ideale, il balcone proteso sull'estremo nonché trampolino di lancio dei sogni e dei desideri d'intere generazioni d'appassionati di montagna.

Luglio 2000

Bibliografia

  1. John King, Bradley Mayhew, David St Vincent Pakistan - a Lonely Planet travel survival kit - Australia 1998 - 5ª Edizione luglio 1998, pp.464 con foto a colori, 40.000 £. Guida in lingua inglese della LP.
  2. John Mock, Kimberley O'Neil - Trekking in the Karakoram & Hindukush - a Lonely Planet walking guide -, 1a Edizione novembre 1996, pp.336, £40.000.
  3. John King - Karakoram Highway the High Road to China - 1a Edizione 1989 Guida in inglese della Lonely Planet, pp. 233, £ 25.000
  4. Giancarlo Corbellini - Guida al Karakorum - Turismo e trekking fra natura e storia - Mursia Editore pp. 266, £ 30.000
  5. Shiro Shirahata - Il Karakorum - Editore pp. 140, £ 180.000